Odore di stalla sui binari
«Adesso c’è proprio tanta gente…», dice un anziano con gli occhiali alla moglie. Ma forse, più che a lei, lo sta dicendo a tutti gli altri passeggeri del vagone. Perché da anni la signora non lo ascolta più quando sono in viaggio e lui commenta sempre tutto e tutti: «C’è nebbia eh...», «Partiamo in orario!».
Così, aumentando il tono, ripete: «Adesso c’è proprio tanta gente». Forse è sordo, forse vuole proprio rimproverare qualcuno. In ogni caso, con tono perfido e dispotico, nota che alla fermata successiva saliranno molti passeggeri. E il suo sguardo critico mi fa capire che dovrei lasciare libero il posto al mio fianco. Un riflesso stupido, lo so: non appena ci si siede si sequestra l’intero scompartimento e si cerca di difendere lo spazio rimasto libero. In altre parole facciamo esattamente ciò che ci fa arrabbiare quando siamo noi a cercare un posto libero. Eppure, lo facciamo sempre.
Esitante, sposto la mia borsa dal sedile accanto quando mi accorgo che il signore aveva ragione: stanno salendo molte persone. Osservo come avanzano nel corridoio. Quelle due pettegole tutte imbellettate? No, quelle per favore no! Quel ragazzo paffutello con la vecchia giacca a vento e gli spessi occhiali, sì e no 19 anni? «È libero?», chiede educatamente. È già seduto. E puzza. Mi tocca anche questo! Di stalla.
Il ricordo va subito a quand’ero giovane e trascorrevo ogni pomeriggio libero nella fattoria di una mia compagna di scuola. Mi rivedo giocare insieme a lei tra i passaggi segreti del fienile ricavati tra le balle di paglia e fieno e ricordo i nostri pomeriggi al grande ciliegio. Nel punto in cui si dividevano i rami, il vecchio albero aveva una curvatura su cui ce ne stavamo per ore e ore, usandolo come vedetta. Lì facevamo progetti per la capanna che avremmo poi costruito; con le tavole di corteccia arrotondate su un lato, ottenute tagliando la parte esterna di un tronco di abete. Mi rivedo pulire i canali di scolo del liquame e sento l’odore del letame e delle patate calde che raccoglievamo dal grande cuocipatate a legna, che usavamo come cibo di scarto per i maiali. Delle patate così buone non esistono più. E qualche volta la sera potevo persino portare il latte al caseificio con il carretto trainato da un Avelignese.
Immerso nei ricordi, il cattivo odore del mio vicino diventa piacevole. Il ragazzo scende già alla fermata successiva. Peccato, avrei voluto continuare a sognare.
Esitante, sposto la mia borsa dal sedile accanto quando mi accorgo che il signore aveva ragione: stanno salendo molte persone. Osservo come avanzano nel corridoio. Quelle due pettegole tutte imbellettate? No, quelle per favore no! Quel ragazzo paffutello con la vecchia giacca a vento e gli spessi occhiali, sì e no 19 anni? «È libero?», chiede educatamente. È già seduto. E puzza. Mi tocca anche questo! Di stalla.
Il ricordo va subito a quand’ero giovane e trascorrevo ogni pomeriggio libero nella fattoria di una mia compagna di scuola. Mi rivedo giocare insieme a lei tra i passaggi segreti del fienile ricavati tra le balle di paglia e fieno e ricordo i nostri pomeriggi al grande ciliegio. Nel punto in cui si dividevano i rami, il vecchio albero aveva una curvatura su cui ce ne stavamo per ore e ore, usandolo come vedetta. Lì facevamo progetti per la capanna che avremmo poi costruito; con le tavole di corteccia arrotondate su un lato, ottenute tagliando la parte esterna di un tronco di abete. Mi rivedo pulire i canali di scolo del liquame e sento l’odore del letame e delle patate calde che raccoglievamo dal grande cuocipatate a legna, che usavamo come cibo di scarto per i maiali. Delle patate così buone non esistono più. E qualche volta la sera potevo persino portare il latte al caseificio con il carretto trainato da un Avelignese.
Immerso nei ricordi, il cattivo odore del mio vicino diventa piacevole. Il ragazzo scende già alla fermata successiva. Peccato, avrei voluto continuare a sognare.